Un anno fa, prima della nota vicenda del Papeete, ero nel Partito Democratico tra i più contrari a un accordo di Governo col Movimento Cinque Stelle. Abbiamo deciso allora di anteporre gli interessi del Paese a quelli di Partito perché l’unica alternativa a questo Governo era ed è un governo Salvini-Meloni. Dove saremmo oggi con un’opzione del genere – nel mezzo di una pandemia che continua a determinare danni ingentissimi al nostro tessuto sociale ed economico e a infliggere sofferenza a migliaia di persone – non possiamo dirlo con certezza. Quel che possiamo fare è immaginare una gestione sul modello di quella di Bolsonaro. Basta e avanza. In mezzo, però, ci sono 365 giorni di sintesi faticose, decisioni difficilissime, confronti interminabili, divergenze. In mezzo c’è un anno di questo Governo.  

Alla vigilia di una Direzione importante, anche alla luce della discussione che si è aperta – e che tende a emergere in maniera sempre più pressante per quanto talvolta sguaiata – sul futuro del nostro Partito, sulla sua collocazione, sulla strategia di lungo periodo, è necessario fermarsi ad analizzare la situazione in cui siamo per individuare poi quale sia per noi il percorso migliore.
In un anno abbiamo ricollocato l’Italia sull’asse geopolitico più naturale e più utile, abbiamo ricostruito rapporti in Europa che erano stati logorati da strappi e da una propaganda anti-europeista e che oggi ci consentono di avere a disposizione cospicue risorse da investire. Su questo il PD ha avuto ragione, facendo cambiare idea ai suoi principali alleati di Governo. Abbiamo gestito le conseguenze di una pandemia che ha investito la quotidianità di tutti, messo alla prova il sistema sanitario, colpito duramente l’economia. E stiamo ancora facendo i conti con la necessità di convivere col virus, evitando nuovi blocchi e mantenendo alta la guardia. Il mio bilancio dell’esperienza di questo anno è sostanzialmente positivo e sono convinta che mettere in discussione questo esecutivo e consegnare il Paese alla destra sarebbe un errore gravissimo. 

Tuttavia, dal mio punto di vista, se questa alleanza di Governo è oggi necessaria, non c’è nessun argomento valido che giustifichi un’alleanza strutturale e strategica a livello nazionale tra il PD e i Cinque Stelle. Non la giustifica l’idea di “normalizzare” un movimento che se si lasciasse davvero normalizzare perderebbe molto del suo consenso, rendendo inutile l’alleanza stessa. Non la giustifica l’idea di un Nuovo Centrosinistra, la quale comporterebbe anzitutto la condivisione da parte di tutti i soggetti di una collocazione chiara, cosa che per il M5S non è ancora avvenuta (ed è avvenuta ancora meno per un elettorato che si auto-colloca, in gran parte, spesso altrove). Contesto poi l’assunto fondamentale che sta alla base di questa teoria, ovvero l’idea che il nostro partito sia condannato a rimanere fermo attorno a un degnissimo 20%. Il passato recente del PD, ma anche i risultati dei nostri competitor, ci dicono che un partito che dimostri di avere un posizionamento e delle idee chiare, una visione della società, una spinta propulsiva capace di aggregare può spingersi molto oltre nel consenso. E io credo che arrendersi all’idea che il PD debba essere il semaforo della Repubblica, messo lì a governare il traffico di chi viene e va nel consenso, sia svilente.
I sostenitori dell’alleanza strategica dicono, infine, che non si può governare insieme se non si costruisce una coalizione stabile. Credo che quest’ultimo argomento sia non solo infondato ma controproducente: al nostro Governo serve moltissimo avere un PD autonomo, capace di dettare l’agenda. Scuola, lavoro, salute, ambiente: queste sono le priorità del PD e devono essere anche quelle del Governo. Lo diventeranno se avremo un partito ancora più forte e non rassegnato al 20%. 

Sono contenta che la classe dirigente del Movimento Cinque Stelle abbia superato l’idea di avere a che fare, ogni qualvolta si trovasse alle prese con un partito, con dei farabutti prestati alla politica. È un segnale importante di maturazione. Evidentemente però non abbastanza forte da determinare alleanze sui territori, se è vero come è vero, che sosteniamo lo stesso candidato in una sola Regione e in pochissimi comuni. E Zingaretti ha ragione quando nella sua lettera richiama gli alleati: se la destra prevarrà alle prossime elezioni, sarà infatti per lo più a causa di un’immaturità che da questo punto di vista è rimasta tale e della volontà più o meno dichiarata di indebolire il PD. In ogni caso noi abbiamo il dovere di essere radicalmente alternativi alla destra, senza forzature rispetto alla nostra identità.  

In questo quadro si inserisce anche la posizione sul referendum. Non condivido gli entusiasmi di chi nel PD, per convinzione o per tattica, celebra questa riforma come un nuovo inizio foriero di grandi opportunità, ma ricordo bene che un anno fa abbiamo sottoscritto un patto di Governo al quale il segretario, assumendosi un carico di responsabilità non banale, oggi ci richiama. Quel patto comporta e comportava un impegno reciproco che comprendeva l’introduzione di correttivi e di contrappesi e che non può essere rinnegato. Come Partito Democratico siamo stati fin qui la forza politica più leale e seria ed è dunque giusto e doveroso pretendere dalle altre forze della coalizione la medesima serietà e lealtà. Abbiamo votato sì in aula a una proposta che ha raccolto la sostanziale unanimità dei consensi nel passaggio alla Camera, ma che ha dei limiti evidenti, che non è di per sé una riforma, ma un taglio.  

Se non mi iscrivo alla corrente degli entusiasti, rifiuto però anche gli strali di chi parla di deriva autoritaria dimenticando che dalla fondazione del PD in avanti praticamente tutti, a fasi alterne, abbiamo sostenuto la necessità o, al limite, l’opportunità di una riduzione del numero dei parlamentari. Capisco il timore del Segretario nel ritenere che per qualche dirigente questo appuntamento possa diventare un’occasione di posizionamento o riposizionamento interno al PD, cosa che reputerei poco seria oltre che sbagliata. Ma è vero anche che c’è una parte del nostro elettorato sinceramente convinta delle ragioni del no, che va compresa e rispettata. Spero che la Direzione di lunedì serva dunque per confermare un mandato pieno a chi ha l’onere di guidare oggi il Partito Democratico nel ribadire le condizioni del nostro sì, non scontato. Le stesse condizioni scritte nere su bianco al punto 10 del patto che ha dato origine alla nostra esperienza di governo. Un patto che per quel che mi riguarda non è in discussione, ma al quale tutti nella coalizione devono dimostrare di attenersi.