Al Direttore de Il Foglio – All’alba del terzo anno di guerra sul suolo Ucraino la speranza è che, presto, tacciano le armi e terminino le sofferenze di quel martoriato popolo, violato dall’aggressione dell’autocrate di Mosca. Ma occorre dare gambe a questa speranza. Gambe robuste. Capaci di fermare non solo l’offensiva militare criminale, ma anche quella mediatica scatenata da Putin per trarre profitto dalle campagne elettorali negli Usa e in Europa. E questo mentre colora di morte la propria – fasulla, perché di fatto senza avversari – campagna elettorale. L’omicidio di Aleksej Navalny il giorno dell’apertura a Monaco della Conferenza sulla Sicurezza, il massacro di migliaia dei suoi soldati pur di trasformare in simbolo la conquista della cittadina di Avdiivka. E poi l’improvvisa esposizione pubblica per lanciare l’inquietante avvertimento sulle amicizie di cui conta “anche nei paesi ostili”. In casa nostra, come ad un richiamo, ha risposto Salvini, mettendo in discussione la responsabilità del regime per la morte di Navalny: fatto gravissimo per il numero due del governo cui compete la guida del G7. Ma quelle gambe non debbono piegarsi. Senza, non ci sarà mai pace giusta e sicura. E qui il discorso non può che cadere sull’Europa. E riconoscere che alla risposta solida delle prime ore al tentativo di Putin di dividere l’Unione, non ha fatto seguito una linea che rendesse l’Europa protagonista di una via d’uscita diplomatica, della costruzione fattiva di una pace giusta. Non intendo ridimensionare la decisione assunta a dicembre di aprire le porte dell’Ue a Kiev né tantomeno la recente approvazione del nuovo pacchetto di aiuti, sebbene ritardata dal veto di Orban, prossimo compagno di gruppo della Meloni. O il tredicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia appena approvato. Ma l’Europa politica fa fatica ad emergere: difesa comune, investimenti condivisi su tecnologie sempre più cruciali e critiche per la sicurezza, superamento del diritto di veto. Eppure è questa l’Europa che servirebbe oggi. Se l’Europa non dovesse compiere un salto di qualità comprendendo che siamo ad un tornante della Storia allora il suo stesso futuro rischierebbe di essere compromesso. Lungo il Dnepr non è il gioco solo la sorte dell’Ucraina. Sotto attacco ci sono i fondamenti delle nostre libere società e i pilastri su cui si sono poggiati decenni di pace, democrazia, giustizia. In gioco c’è la forza del diritto, minacciata dal diritto della forza. Anche per questo le elezioni europee di giugno hanno un’importanza decisiva.