I diritti all’istruzione e alla salute sono i capisaldi del riformismo

Tante voci hanno chiesto al Partito democratico di chiarire la propria identità nel dibattito che si è aperto dopo le elezioni. Trovo che sia importante farlo, sebbene la crisi di identità in atto riguardi molti altri partiti ed abbia radici anche nei problemi generali della rappresentanza, che vanno oltre i confini nazionali. Fare questo esercizio alla vigilia del nostro congresso, tuttavia, è utile anche per evitare che la nostra identità finisca per ricalcare la biografia del leader di turno, come talvolta è accaduto in questi 15 anni.

Il Pd nasce rifiutando l’idea del partito personale, senza però ignorare l’importanza della leadership. Da Veltroni in poi, il Pd ha avuto segretari forti e carismatici, che hanno tentato, con più o meno successo, di dare al partito un’impronta riformista, progressista, ambientalista e laburista. Attributi importanti, che oggi sembrano aver perso forza, anche se persiste da parte di troppi la tentazione di isolarli e brandirli per differenziarsi nel complesso panorama delle correnti. Sia chiaro: il nostro è e deve restare un partito composito.

Se il correntismo è un male che ha spesso condizionato in negativo la nostra strada, il pluralismo richiamato nel “Manifesto dei valori” è un elemento imprescindibile del nostro essere democratici. Se dovessimo rinunciare alle diverse sensibilità per far spazio al pensiero unico, non saremmo diversi da quei movimenti o forze politiche che hanno rimosso la democrazia interna e il cui destino dipende interamente da quello del o della loro leader. Il Pd è fatto di persone con storie diverse, i cui valori hanno trovato un punto di incontro nella volontà di far progredire la società per renderla più giusta. Credo che la scelta dell’aggettivo “Democratico” nel nome sia la migliore sintesi del dettato dell’articolo 3 della Costituzione, ovvero l’idea che il dovere della politica sia garantire il pieno sviluppo della persona, rimuovendo tutti gli ostacoli che ne impediscono realizzazione, emancipazione e, quindi, partecipazione. Se un’identità va ricostruita, allora bisogna ripartire da qui: dagli elementi che rendono possibile crescita, libertà e coesione sociale.

Da lavoro, diritti sociali e civili, welfare, famiglie, associazionismo, mondo della cultura e dello sport, dell’impresa e dell’innovazione. E, soprattutto, dalla difesa di due diritti a rischio, cruciali perché ci siano pari opportunità: il diritto all’istruzione e alla salute. Il 13% degli studenti italiani non raggiunge l’obbligo scolastico. Si tratta del drammatico fenomeno della dispersione, il più grave problema di una scuola ancora non in grado di generare reale possibilità di emancipazione per i più poveri e i più fragili. La svalutazione del ruolo degli insegnanti, lo stato ancora precario dell’edilizia scolastica e l’abbandono, appunto, sono sintomi evidenti di una diffusa incapacità di investire sullo strumento principale di realizzazione.

Questa deve essere l’ossessione del Pd: la piena attuazione del dettato costituzionale nel suo prevedere una scuola “aperta a tutti”, capace di accorciare le distanze. E dalla pandemia arriva l’indicazione del secondo elemento da considerare centrale: il diritto universale alla salute. Oggi questo diritto è messo in discussione da un’idea di sanità classista e pericolosa. Basta guardare a quanto accade nelle Regioni governate dalla destra per rendersi conto di come la decostruzione dei servizi pubblici sia finalizzata a fare spazio a nuovi centri di sanità privata. È molto semplice: rendere impossibile l’accesso alle cure nelle strutture pubbliche significa spingere chi può permetterselo a finanziare altre realtà, obbligando chi non può a restare, semplicemente, senza cure.

Tra gli esempi più lampanti c’è la mia Umbria, precipitata da Regione benchmark per la sanità pubblica al disastro in atto, mentre nuovi istituti privati si moltiplicano ovunque. Tutto ampiamente dichiarato nel programma elettorale della Presidente. Un Partito democratico che voglia essere riconoscibile non può che essere partito della scuola e della sanità pubblica, di qualità e per tutti. E, per questo, strutturalmente popolare, riformista e progressista allo stesso tempo, perché consapevole che limitarsi a conservare significa ampliare le diseguaglianze e che il cambiamento possibile è fatto di un paziente lavoro di riforma, come quello che caratterizzò la straordinaria fase dell’Ulivo, dal quale è nato il Pd. Una ispirazione – quella ulivista – ancora valida, anche per la sua capacità di conciliare crescita, equità, sostenibilità, innovazione, nell’ambito di un capitalismo “ben temperato”, cioè libero di generare crescita ma sottoposto alle regole pubbliche, necessarie a contrastare i fallimenti di mercato. Da qui può ripartire un Pd perno del centrosinistra, capace di parlare a tutto il Paese e di interpretare la possibilità concreta di costruire una società più coesa, più eguale e più giusta. E di vincere.